• Roma 1960, da un’Italia all’altra | Destinazione Olimpia

  • Sep 18 2021
  • Duración: 12 m
  • Podcast

Roma 1960, da un’Italia all’altra | Destinazione Olimpia  Por  arte de portada

Roma 1960, da un’Italia all’altra | Destinazione Olimpia

  • Resumen

  • Sono esattamente le 16,30 del 25 agosto 1960 quando gli atleti di 84 nazioni fanno il loro ingresso nello Stadio Olimpico per la cerimonia inaugurale: gli uomini in giacca, cravatta e cappello di stoffa; le donne con le gonne a piega sotto il ginocchio. Alle 17:30 entra l’ultimo tedoforo della staffetta olimpica partita da Olimpia, cuore della Grecia classica. Fa il giro di campo e con la torcia accende il fuoco olimpico del braciere. Il giuramento degli atleti è affidato ad un grande dello sport italiano: Adolfo Consolini, già medaglia d’oro nel lancio del disco alle Olimpiadi di Londra del 48, nonché discreto attore che ha interpretato anche il personaggio di Maciste. Quella che sta per iniziare a Roma è un’edizione dei Giochi Olimpici destinata a lanciare in orbita alcune tra le stelle più brillanti del firmamento sportivo di tutti i tempi: un nome su tutti è quello di Cassius Clay, non ancora divenuto Mohamed Ali. I nostri alfieri portano l’Italia sul podio ben 36 volte, con 13 ori, 10 argenti e 13 bronzi. Ricordiamo la nazionale di pallanuoto che, vincendo il torneo, viene subito denominata” il Settebello”, la formidabile squadra della scherma guidata dall’eterno Edoardo Mangiarotti giunto alla sua quinta olimpiade, l’impiegatizio Livio Berruti che corre i 200 metri con gli occhiali da sole neri, ma che brucia nello sprint tutti i suoi più quotati avversari americani. E poi Nino Benvenuti, futuro campione del mondo dei pesi medi, che al momento è ancora un giovane profugo istriano ed i mitici fratelli D’Inzeo, autentici fuoriclasse dell’ippica... e tutti gli altri 280 atleti capaci di destare le passioni di un’intera nazione. Certo, è una Roma molto diversa da come ci appare oggi. La Città ed il Paese si accingono a vivere gli Anni più belli della nostra storia, oscillando ancora tra la tradizione trasteverina delle carrozze trainate dai cavalli che portano a spasso i turisti e la voglia matta di vivere i tempi nuovi, sfrecciando per le vie del Centro in Vespa oppure partendo con la Seicento carica fin sopra il cofano pur di raggiungere Ostia o Fregene, anche solo per i due giorni di Ferragosto. La guerra è ancora cronologicamente piuttosto vicina, con tutti i suoi lutti e le sue miserie, ma è anche idealmente ormai molto lontana, come spazzata via da una smania travolgente di riscoprire la vita e di rifarsi, con gli interessi, di tutto il tempo perduto sotto i bombardamenti, tra una fame nera e le decimazioni delle rappresaglie. E lo sport rientra proprio perfettamente in questo scenario di ottimismo, di speranze e di entusiasmi. Specchio di questa fase di profondi mutamenti sociali può forse risultare anche Cinecittà, che ha appena cominciato a vivere il passaggio da un cinema che ci ha magistralmente raccontato di una quotidianità dura e povera a quello che adesso descrive, invece, nuove mentalità e nuovi stili di vita, nella transizione dal Neorealismo di Rossellini e De Sica alla Commedia all’ Italiana di Dino Risi, di Alberto Sordi, di Gassman o di Mastroianni. Il grande sforzo organizzativo sostenuto dal CONI per allestire dei Giochi Olimpici degni di un paese culturalmente evoluto ed industrialmente all’avanguardia, contribuiscono enormemente a proiettare nel mondo l’immagine di un’Italia che è sempre meno “pizza e mandolino” e sempre più Eni, Fiat, Alitalia e Finsider. Per la verità già il fascismo, osservando il successo dei Giochi del 1936 nella Germania nazista, aveva puntato su un’edizione romana delle Olimpiadi e così era anche arrivata la candidatura della Capitale per il 1944. Edizione che, per ovvi motivi, non si tenne mai. L'Italia ha dovuto, quindi, aspettare il 1960 per poter finalmente accogliere la più prestigiosa manifestazione sportiva. Il percorso si rivela, fin da subito tutt’altro che agevole, avendo il nostro Paese da farsi perdonare un po’ troppe cose dalle altre nazioni, ma l'allora presidente del Consiglio Alcide De Gasperi ed il suo sottosegretario, Giulio Andreotti, risanano e rilanciano il Coni, Comitato olimpico nazionale, rendendolo autonomo e, gradualmente, l’impegno italiano nello sport incomincia ad essere apprezzato e riconosciuto, al punto che già nel 1956 i giochi Invernali vengono assegnati a Cortina. Sul piano strettamente finanziario, quella compiuta dal nostro Paese in occasione di Roma 1960 può definirsi un'impresa colossale. Gli impianti che la guerra ed il Ventennio ci hanno lasciato sono pochi e obsoleti e necessitano, pertanto, di radicali interventi. Il Coni però, in qualità di unico beneficiario delle scommesse calcistiche, grazie al Totocalcio, riesce abilmente nell'impresa di trasformare i nostri impianti sportivi da motivo di forte imbarazzo, in modernissimi gioielli dell’architettura sportiva. L’astronomica – per quei tempi – cifra di 50 milioni di dollari viene investita nella costruzione e nel rifacimento degli impianti e nell'edificazione di altre infrastrutture....
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