• TCDD—Seveso e il disastro della diossina

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TCDD—Seveso e il disastro della diossina

By: The Submarine
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  • 46 anni fa una nube tossica di diossina TCDD stravolgeva la vita dei cittadini di Seveso, Meda e molti altri comuni brianzoli. Il caso dell’ICMESA è stato uno dei primi disastri ambientali a diventare un caso internazionale, creando un prima e un dopo nella coscienza ambientalista locale ed europea. Cloracne, tumori, malformazioni, aborti e vasche di contenimento: cosa è rimasto oggi?
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  • 5: Cosa resta della diossina
    Sep 12 2022
    Alcuni fusti di scorie hanno fatto una fine non chiara, fra traffico internazionale di rifiuti, siparietti con macellai francesi e manager svizzeri. Ma Seveso come vive la propria eredità e la presenza delle vasche di contenimento per la diossina sul proprio territorio?
    Il 17 giugno 1985 a Basilea vengono distrutti 41 barili pieni di TCDD provenienti da Seveso. Partiti dalla Brianza il 10 settembre del 1982, tre anni prima, sono i quarantuno fusti di diossina asportata dal reattore dell’ICMESA. La storia di quel carico diventa subito uno dei misteri più incredibili di tutta la vicenda. Il commissario dell’emergenza Seveso, Luigi Noè, li fa partire in gran segreto, di notte, e nei giorni seguenti dice di non sapere dove sono diretti, che solo la La Roche ne è al corrente.
    Quindi il camion con questi rifiuti estremamente tossici parte. A dire il vero Noè lo segue, almeno fino a dopo Ventimiglia, fino a quando il carico supera la frontiera con la Francia. Poi iniziano i problemi. Quando varcano il territorio francese i barili vengono affidati ad un personaggio che dovrebbe essere già esperto di smaltimenti.
    Bernard Peringaux è il proprietario della Spedildec, ditta di Marsiglia che si occupa di far sparire le sostanze tossiche e dalla reputazione poco trasparente. Serpeggiano voci di una possibile affiliazione dell’imprenditore ai servizi segreti francesi. Peringaux è presente a Meda quando le polveri rimaste nel reattore esploso vengono caricate sui barili. Poi però, varcato il confine francese, il camion scompare e nessuno sa dove è finito.
    L’unica comunicazione viene fatta arrivare alla Givaudan dal proprietario della Spedildec, che dice di aver smaltito tutto, questione risolta. Peccato che anche agli svizzeri non dice dove. I fusti con all’interno la diossina scompaiono per nove mesi. Come è stata possibile una cosa del genere? E soprattutto, tutti si chiedono, dove è stata nascosta quella diossina?
    I fusti vengono ritrovati nella remota località francese di Saint Quentin, il 19 maggio 1983. O almeno così sembra. È un macellaio di un paesino chiamato Anguilcourt Le Sart, 300 abitanti, ad accorgersi che davanti alla sua attività sono depositati dei grossi contenitori simili a quelli che tutti stanno cercando.
    Ma sono davvero i barili usciti dall’ICMESA? Come è possibile affidarsi alle parole di un macellaio su una questione così delicata? L’unica voce affidabile sarebbe quella di chi effettivamente ha visto il carico uscire da Meda: il commissario per l’emergenza. Noè però non viene mai convocato sul posto, nessuno si premura di chiedergli di verificare la larghezza, il colore, i materiali di cui sono fatti questi barili.
    A Basilea si tirano fuori i 41 fusti pronti per essere inceneriti. Già i giornalisti più attenti però se ne accorgono: quelli che la Roche sta mostrando non sono i 41 fusti partiti da Meda. Il loro diametro è passato da 56,5 centimetri a 60 centimetri. Si sono ristretti di 3 centimetri e mezzo, e pesano 20 quintali in più rispetto agli originali. Molti ambientalisti avevano già avvertito della possibilità che la Roche mentisse in questa occasione; e infatti.
    La fine di questa vicenda non è mai arrivata, neanche dopo la messa in scena del 17 giugno. Dopo tutti questi anni abbiamo gli elementi sufficienti per dire come sono andate le cose? Insomma, tutta la diossina contenuta nei 41 barili dove è finita? Questo è paradossalmente uno dei misteri per cui si è più vicini a una soluzione.
    Ormai la tesi più accreditata è che la diossina sia stata smaltita in una discarica della Germania Est. Marzio Marzorati racconta “quando ero assessore vennero i tedeschi perché nell’89 il muro di Berlino cadde e iniziarono ad aprire gli archivi, in essi apparì questa consegna di barili che venivano da Seveso in una discarica della Germania dell’Est”.
    E oggi cos’è rimasto di questa storia? La diossina è ancora un tema che divide in Brianza e soprattutto a Seveso. L’ultima polemica risale ai mesi scorsi, con le dimissioni dell’ex sindaco di Seveso Allievi e il rimpallo di responsabilità sullo stato delle vasche di contenimento delle scorie della zona A. Mentre sullo sfondo si staglia la vicenda della Pedemontana lombarda, che dovrebbe essere realizzata proprio in quei territori.

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  • 4: L’aborto e il disastro di Seveso
    Aug 1 2022
    Nel 1976 in Italia l’interruzione di gravidanza non era ancora legale, ma viene eccezionalmente concesso l’aborto terapeutico nelle aree colpite dal disastro della diossina. Nonostante il rischio di malformazioni e di morte, le forze anti–abortiste continuano la loro battaglia contro il diritto di scegliere

    Maria Chinni è una ragazza di 23 anni e da quando ne ha 18 è sposata con Canio Corbo, che ha un anno in più di lei. Entrambi sono originari del Sud: lei di Montebello Ionico, in provincia di Reggio Calabria, lui di Potenza. La coppia, con i figli Anna Maria di quattro anni e il piccolo Donato, che ne ha uno e mezzo, sono di ritorno da una vacanza: Anna Maria e Donato sono andati a trovare i nonni.

    La coppia ha tanti progetti per il futuro: Maria è incinta da poche settimane, e lavora in una ditta di Lissone, Canio ha avuto qualche problemino di salute, ma si riprenderà in fretta e sarà più partecipe nell’aiutare la famiglia.  Nel settembre 1976, dopo la vacanza di dieci giorni in Calabria, entrambi tornano in Brianza, in un paese confinante con Desio: Muggiò. Maria attacca subito al lavoro, ma mentre si trova in fabbrica inizia a non sentirsi bene.

    Sente una fitta lancinante al ventre e il giorno dopo, giovedì 2 settembre, decide di stare a casa. Canio inizia a preoccuparsi quando anche nella notte Maria è presa dai dolori. Canio e Maria volano al pronto soccorso più vicino, quello dell’ospedale di Desio, nel pomeriggio di venerdì. Maria sembra stare molto male, Canio è sempre più agitato. 

    Passa qualche ora e davanti al marito compare il dottore: gli dice che Maria è scomparsa, insieme al bambino che portava dentro di sé. Questa tragica morte diventa in breve tempo benzina versata su un fuoco che è già acceso da tempo. Dopo qualche giorno si diffonde la voce che Maria sia morta per colpa di un aborto clandestino. 

    Il direttore dell’ospedale di Desio precisa che dall’autopsia non risulta alcun danno al feto, prova che la donna non ha tentato l’interruzione di gravidanza. Lo conferma anche il prof. Lorenzo Alfieri, l’aiuto ostetrico ginecologico dell’ospedale. Rimane il fatto che la causa di morte non è del tutto chiarita: si parla in modo imprecisato di un’infezione senza specificarne la causa. La notizia finisce sulla stampa proprio nei giorni in cui a Desio si è deciso per “ammettere con riserva” le gestanti che fanno richiesta di abortire. 

    L’8 settembre, a Milano si tiene una riunione di vari collettivi femministi per decidere come reagire alla morte di Maria Chinni. Sono presenti anche i gruppi di Desio e Cesano Maderno, zone colpite dalla diossina. Nell’articolo di Lotta Continua, uscito il giorno successivo, si fa cenno a quella riunione e poi, nell’articolo dedicato alla vicenda, si definisce Alfieri “uno degli aguzzini dell’ospedale di Desio”.

    Perché questo attacco ai medici dell’ospedale? Come mai l’argomento è l’aborto, se siamo nel 1976 e il referendum che lo liberalizzerà verrà votato solo nel ’78? E, soprattutto, cosa c’entra tutto questo con la diossina? Quando Maria Chinni muore, questo tema occupa già pagine su tutti i giornali, e divide, ancora una volta la popolazione della Brianza e dell’Italia intera. Per capirne il motivo bisogna tornare indietro di qualche settimana, al 29 luglio.

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    20 mins
  • 3: Il disastro di Seveso e la nascita dell’ambientalismo in Italia
    Jul 25 2022
    Dopo il disastro dell’ICMESA il Partito Comunista e in generale la sinistra italiana inizia a cambiare la sua linea sull’ambiente e inizia a riflettere sull’impatto ambientale delle politiche di sviluppo

    15 ottobre 1976. Gli abitanti di Seveso si incamminano verso le scuole medie Leonardo Da Vinci, ma la maggior parte di loro, quando arriva, la trova già piena. Fortunatamente sono stati installati degli altoparlanti in modo che anche quelli rimasti fuori possano sentire cosa si sta decidendo al suo interno. Le macchine parcheggiate fuori non si contano e tutti, almeno all’inizio, sono in silenzio per ascoltare, di fatto, quello che li aspetterà nei prossimi mesi.  E soprattutto se c’è una speranza concreta di tornare alla normalità. 

    Quella sera i presenti in aula sono circa 300. Per l’assessore alla sanità Rivolta è soprattutto l’occasione per presentare il progetto di Regione Lombardia: l’inceneritore. I suoi avversari però si trovano già lì, pronti a contestarlo. Ad agosto il consiglio comunale ha già approvato l’idea e il relativo progetto di bonifica, anche se lo stesso sindaco Rocca è tutto fuorché entusiasta. Approva il progetto solo perché vuole, esattamente come i suoi concittadini, dimenticare al più presto tutta questa storia. Al momento l’inceneritore sembra ancora la soluzione più facile e veloce per terminare la tragedia. 

    “L’ICMESA ha inquinato l’ICMESA disinquini” gridano gli oppositori in prima fila, non appena le autorità cercano di spiegare. Oltre a Rivolta e Rocca, sono presenti anche il presidente della Provincia Vitali, il vicepresidente Mariani e il professor Zurlo, responsabile tecnico regionale delle opere di bonifica. Grandi esclusi: il sindaco di Meda e la sua giunta. Per gli abitanti è ingiusto che sia Seveso a pagare, ancora una volta. 

    Molti, infatti, si chiedono perché un tale impianto non si possa invece fare a Meda. E se poi Seveso, una volta bonificato tutto, diventasse il centro dove bruciare tutti gli scarti della Brianza? “Possiamo sottoscrivere un documento – promette Vitali – nel quale ci impegniamo a smantellare l ’impianto dopo la bonifica.” Ma a questo punto perché non costruirlo dentro l’ICMESA? 

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    22 mins

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