• L'ultimo viaggio di Jurij Gagarin | Gli Occhi della Storia
    Apr 12 2023
    A cura di Daniele Biacchessi Ci sono storie che attraversano la grande Storia, dal passato al presente. Ci sono storie dimenticate che la Storia riporta a galla d'improvviso. Quella dell'astronauta russo Jurij Gagarin riguarda un giorno di aprile di tanti anni fa, ma anche ciò che accade con il conflitto tra Russia e Ucraina. Questa è la storia di un uomo semplice, umile, che aveva volato nello spazio prima di chiunque altro, in quello che sarebbe stato il suo grande sogno che si è trasformato invece nel suo ultimo viaggio, in mezzo alla Guerra fredda che opponeva Stati Uniti e Unione Sovietica, negli anni della corsa agli armamenti e alla ricerca di un primato nello spazio. «Il panorama è assolutamente bello e nuovo... la superficie terrestre cambia colore mentre viene illuminata dal cielo nero, dove posso vedere benissimo le stelle». La voce è del primo cosmonauta della storia: Jurij Gagarin. È il 12 aprile 1961. Quella giornata, al cosmodromo di Bajkonur, nel Kazakistan, sembrava una come tante altre. Fino a quando, alla base della piattaforma di lancio “numero 1”, giunge un pullmino simile a quelli impiegati per gite turistiche. L’autoveicolo bianco e arancione, si ferma a breve distanza dalla piattaforma su cui è appoggiata la grande torre a tralicci metallica, che avvolge un razzo vettore noto come “Zemiorka”. Assieme al gigantesco reticolato metallico, vi sono alcune passerelle che conducono ai “punti nevralgici” del razzo, alto circa 40 metri. Dal pullmino escono due uomini rivestiti da una tuta di volo color arancione, e con un casco pressurizzato; salutano, e poi con repentino scatto chiudono il visore esterno dei loro caschi. Prima di entrare nell’ascensore saluta, agitando entrambe le braccia, i tecnici che lo hanno atteso e quelli che lo hanno accompagnato fino alla rampa, oltre al collega (German Titov) che invece è destinato a restare a terra, e che, di fatto, ha rappresentato la sua riserva. Quando l’ascensore raggiunge la parte più alta della torre, il cosmonauta attraversa il braccio metallico e giunge fino all’apertura di un piccolo boccaporto circolare, con il portellone aperto. Entra nel boccaporto e in poco tempo si sistema, disteso, sull’unico sedile posto all’interno della navicella, e posizionato sopra un seggiolino eiettabile. La navicella è la Vostok 1 (in russo: “Oriente”). Non si conosce, in quel momento, il nome di quel cosmonauta, ma entro un’ora lo saprà il mondo intero. Jurij Gagarin era nato il 9 marzo 1934 nel villaggio russo di Klušino, nella provincia di Smolensk. Era un pilota dell’aviazione russa, con un curriculum ideale per le richieste dei responsabili del programma russo. La selezione avvenne nel 1960. Il padre era un artigiano di falegnameria, e la mamma era contadina. Il primo cosmonauta della storia era sposato con un'infermiera, Valentina, di un anno più giovane di lui. All’epoca del suo storico, primo volo orbitale, Jurij era padre di due figlie, Elena e Galina, nata appena cinque settimane prima. Il razzo vettore accendeva i suoi motori e si lanciava nel cielo del Kazakistan, quando a Mosca erano le 9,07. Ecco il sonoro originali di quegli attimi memorabili. La ricostruzione di quegli attimi del film Gagarin - Primo nello spazio, Il filmato della partenza, molto suggestivo, venne diffuso al mondo soltanto sette anni dopo: « Pojechali!, Partenza!», comunica Gagarin, che in 10 minuti entra in orbita attorno alla Terra. «Il cielo – comunica da lassù Gagarin – lo vedo nero, totalmente nero, e vedo la Terra azzurra sotto di me». E prosegue: «Lungo l’orizzonte c’è una striscia di un arancione brillante che poi assume una sfumatura d’azzurro, e poi passa al nero. Quello che mi colpisce di più è quanto sembra vicina la Terra, anche da questa altezza». La Vostok 1 stava passando sopra l’America Latina, per poi procedere verso il Sud dell’Atlantico e l’Africa. Dopo un’orbita completa attorno alla Terra, avvenne il rientro, critico, negli strati atmosferici. A circa 7 chilometri si dispiega il paracadute provvisorio, seguito a 4 chilometri di quota dall’apertura di quello principale. Poi, alla stessa quota Gagarin si lancia fuori dalla capsula con il seggiolino eiettabile e scende a terra con il paracadute, a distanza di sicurezza dal punto di atterraggio della capsula. La discesa avvenne nella regione di Smelovska, a poca distanza da una mucca e da due contadini che dalla loro fattoria osservavano con stupore e incredulità. L’atterraggio con seggiolino eiettabile verrà confermato solo trent’anni dopo. Si temeva che, con atterraggio fuori dalla capsula, la missione non venisse omologata dalla Federazione Astronautica Internazionale. I giornali di tutto il mondo giudicarono l’impresa come “leggendaria”, e alcuni definirono Gagarin come «un Cristoforo Colombo dei tempi moderni ». Era iniziata così, con quella storica missione, una nuova era: quella dell’uomo nello spazio. ...
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  • La giornata della memoria della Shoah | Gli occhi della storia
    Jan 27 2023
    A cura di Daniele Biacchessi Il 27 gennaio si celebra in tutto il mondo la giornata della memoria della Shoah che ricorda lo sterminio pianificato da parte nazista di milioni di ebrei, oppositori politici, minoranze. Il simbolo dell'Olocausto è la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. Vedo, racconto, e scrivo. Lo sguardo della Storia passa proprio dagli occhi dei testimoni, come quelli di Primo Levi che da sopravvissuto diventa poi lo scrittore della memoria dei campi di concentramento nazisti. Lui si ricorda quel giorno d'inverno di tanti anni fa. E' il 27 gennaio 1945. Sono le ore cruciali dell'avanzata americana e sovietica verso Berlino, il cuore del nazismo, dove Hitler e i suoi gerarchi sono sempre più accerchiati. Cadono ad uno ad uno i fronti di guerra e le truppe riunite intorno all'Asse (Germania, Italia, Giappone), lasciano sul campo una lunga scia di orrore e di morte. I soldati dell’Armata Rossa superano il cancello del campo di sterminio nazista di Auschwitz, già evacuato da alcuni giorni. Attraversano il grande cancello di ferro che porta la scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi, la stessa che hanno visto 960 mila ebrei, 74 mila polacchi, 21 mila rom, 15 mila prigionieri di guerra sovietici e 10 mila persone di altre nazionalità sterminati in pochi anni dalle SS naziste. Quel giorno termina il più imponente sterminio di massa della storia avvenuto in un unico luogo. Ma Auschwitz non è il solo campo di concentramento messo in piedi da Adolf Hitler e Himmler. Paesi disseminati da lager, come spiega Primo Levi Per comprendere questa storia bisogna tornare indietro di qualche anno. Il 1 settembre 1939, la Germania nazista invade la Polonia scatenando la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’invasione dell’Unione Sovietica da parte dei tedeschi nel giugno 1941, le SS di Himmler praticano quella che viene chiamata la “soluzione finale”, l'eliminazione di massa di intere comunità di ebrei in Europa. Sempre nel 1941 vengono introdotte camere a gas mobili montate su autocarri e i nazisti costruiscono numerosi campi di sterminio come quello di Auschwitz, in Polonia. Fa parte di un complesso più grande che comprende anche il campo di sterminio di Birkenau e il campo di lavoro di Monowitz. Ad Auschwitz-Birkenau alla fine della primavera del 1943, funzionano quattro camere a gas che utilizzano la sostanza tossica nota come Zyklon B. Nell’estate del 1944, l’offensiva sovietica si spinge fino alla Vistola, 200 chilometri dal campo di concentramento di Auschwitz e inizia ad espandersi verso il cuore della Germania. Sono i giorni in cui Hitler e Himmler sentono il fiato sul collo e procedono con lo smantellamento del lager. Le forze sovietiche entrano nel campo di Majdanek, vicino a Lublino, Polonia, nel luglio del 1944. Nell’estate del 1944, l’Armata Rossa conquista anche le zone in cui si trovano i campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka. Nel novembre del 1944, due mesi prima della liberazione, Himmler ordina la distruzione delle camere a gas di Birkenau rimaste ancora in funzione e il 17 gennaio 1945 ad Auschwitz viene fatto l’ultimo appello generale dei prigionieri. Le SS evacuano il campo a metà gennaio 1945. Migliaia di prigionieri vengono uccisi mentre altri, circa 60 mila, sono costretti a un’evacuazione forzata e a prendere parte a quelle che sarebbero poi divenute famose come “marce della morte”. Le marce procedono verso nord-ovest, fino a Gliwice, per 55 chilometri lungo i quali vengono raccolti anche i prigionieri dei sottocampi dell’Alta Slesia Orientale (Bismarckhuette, Althammer e Hindenburg), e verso ovest, per circa 60 chilometri, in direzione di Wodzislaw. Durante il cammino, le SS uccidono 15 mila prigionieri. Chi sopravvive viene invece caricato su treni merci e trasportato nei campi di concentramento in Germania. Si arriva all'epilogo finale. Il 27 gennaio 1945, verso mezzogiorno. Le prime truppe sovietiche del generale Kurockin varcano il cancello di Auschwitz, trovano 7 mila prigionieri lasciati nel campo. Magri, denutriti, molti sono bambini sotto gli otto anni. Un mucchio di cadaveri come ricorda Primo Levi. I sovietici trovano cumuli di vestiti e tonnellate di capelli pronti per essere venduti. E poi occhiali, valigie, utensili da cucina e scarpe. E vengono rinvenute fosse dove sono sepolti i resti di un pezzo di umanità. Da quel cancello di Auschwitz con la scritta lugubre “Arbeit macht frei” ci è passata anche Liliana Segrè e centinaia di migliaia di ebrei e oppositori politici provenienti da ogni parte d'Europa. I suoi sono gli occhi della Storia e della memoria sono gli occhi di una bambina. I suoi occhi hanno visto l'orrore a soli 13 anni, quando, il 30 gennaio 1944, viene portata al Binario 21 della Stazione Centrale di Milano. Poi viene caricata su un treno merci. Infine viene deportata nel campo di concentramento e sterminio di Auschwitz e dall'inferno del nazismo. Oggi Liliana Segrè ha 90...
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  • Charlie Hebdo | Gli Occhi della Storia
    Jan 7 2023
    L’attentato a Charlie Hebdo, una rivista di satira francese nel cuore di Parigi, è un episodio plateale che appartiene all’escalation del terrorismo nata dallo scontro tra due mondi. Il mondo fondamentalista da una parte e la democrazia dall’altra. Il pretesto era legato ad una serie di vignette su Maometto che fin dal 2006 avevano portato ad attentati alla sede del periodico e una stretta vigilanza della sede da parte della polizia. Prima di quel 7 gennaio 2015 la recrudescenza del terrorismo si era manifestata in particolare in Canada, Australia e la stessa Francia, creando già un senso di disagio tra la comunità. Quel giorno di gennaio alle 11:30 i terroristi armati entrano nella sede di Charlie Hebdo prendendo in ostaggio una disegnatrice e costringendola a rivelare il codice per entrare nella redazione. Una volta entrati urlano il consueto Allāhu Akbar, sparano a tutti e lasciano 12 vittime. La fuga dei terroristi entra nella storia per il protagonismo degli assassini che cercavano pubblicità, gloria e sangue, compiendo altri gesti ìnfami, come l’uccisione di un poliziotto a terra, anche se era un gesto gratuito e l’uomo si chiamava Ahmed Merabet, brigadiere di fede musulmana. I due terroristi ancora senza nome scappano, le televisioni trasmettono quelle immagini e tutto il mondo osserva con orrore mentre la polizia cerca di catturarli. I due giorni che seguono sono carichi di tensione e morte, qui ricostruiti dal TG2 Dal 2001 in avanti il terrorismo ha raggiunto lo scopo di terrorizzare ma soprattutto di creare imbarazzo e diffidenza. Per quanto si tratti di un attentato anomalo, proprio gli obbiettivi: dei vignettisti, ovvero artisti, intellettuali, non decisori politici, non soldati, nessuno che possa essere un reale pericolo per chi pretende di portare avanti una qualunque causa, crea nelle prime reazioni un sentimento di rabbia e di smarrimento. Le vittime infatti sono persone straordinarie, di grande talento, uccise in modo bestiale. La caccia intanto va avanti anche il 9 gennaio, con i terroristi in fuga che, apprenderemo quasi subito, sono fratelli e si chiamano Kouachi. Le inquadrature delle televisioni di tutto il mondo ritraggono il supermercato, la consapevolezza che da un momento all’altro potrebbe accadere qualcosa, spinge milioni di persone a seguire con apprensione le riprese di un’azione imminente. Questa è la testimonianza di una famiglia salernitana. Parla Antonio Trotta residente in Francia da tanti anni con la famiglia, il quale abita vicino alla zona e racconta dei terroristi asserragliati con gli ostaggi. I due fratelli Kouachi vengono uccisi nel pomeriggio durante l'irruzione nella tipografia dove si erano asserragliati. L’altro terrorista, Amedy Coulibaly, barricato nel supermercato Kosher, viene ucciso all'interno del supermarket dove teneva gli ostaggi. La prima ad essere colpita è una cassiera di soli 21 anni, ammazzata davanti a tutti per essere di religione o di origine ebraica, proprio come le altre vittime. Il fanatico fa in tempo a cancellare altre tre vite, con la minaccia di uccidere anche un bimbo di pochi mesi nel supermercato. La compagna di Coulibaly, Hayat Boumedienne, 26 anni, viene ricercata per essere interrogata come persona informata sui fatti, ma lei fugge e dal 2 gennaio 2015 vive in clandestinità per sfuggire alla condanna a 30 anni per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo, coperta probabilmente dallo Stato Islamico. L’epilogo porta con sé polemiche furibonde che non risparmiano nessuno, a partire dai servizi segreti francesi che, come quelli americani nel 2001, sembrano colpevoli di un incredibile approssimazione, come sostiene il giornalista Carlo Panella Lo sostiene anche Andrea Marcelletti Consigliere per le Politiche di Sicurezza e di Contrasto al Terrorismo del Ministro della Difesa. Dietro ma anche ai lati di questo attentato ci sono sospetti, come sempre del resto, perché non è facile credere che, nonostante le tante informazioni, non si riesca a impedire preventivamente un evento del genere. L’idea è sempre che ci sia un complotto di mezzo, suggerendo implicitamente che si preferisca fingere di non sapere per avere il pretesto di fare delle azioni con interesse strategico. Lo si dice in ogni occasione, da Pearl Harbor all’attacco alle Torri Gemelle ma il tema è anche quello di una manipolazione dell’odio, diretto, guidato da Stati che speculano su questo sentimento per spingere migliaia di potenziali pedine a fungere da martiri, convinti come sono che uccidere chiunque sia persino un atto di eroismo. Sempre Carlo Panella sostiene come dietro ci sia una leva che parte da una cultura estremista degli stessi tribunali di quei Paesi I giorni che seguono creano un dibattito internazionale sulle origini del male, sulle cause che spingono gli estremisti a uccidere indiscriminatamente, privandosi di quel residuo di umanità e immolandosi per una causa che non rappresenta l’Islam. Per giorni e ...
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  • Tsunami dell’Oceano Indiano | Gli Occhi della Storia
    Dec 26 2022
    A cura di Francesco Massardo Ci sono momenti in cui il silenzio è una necessità più che un dovere. Momenti in cui non si può chiudere il mondo dietro la porta di casa, lui là fuori, noi qui dentro a festeggiare. Quello del 2005 non fu un Capodanno come gli altri. Il mondo, fuori, ci era entrato in casa senza bussare: qualche giorno prima, il 26 dicembre del 2004, nella giornata di Santo Stefano, la terra intera aveva assistito sgomenta a uno dei più devastanti eventi catastrofici della storia, almeno per quanto riguarda l’umanità. E così, mentre in rigoroso ciclo da Sidney a Los Angeles, il pianeta si apprestava a entrare nel 2005, lo sgomento e le immagini di morte e devastazione erano ancora troppo vivide per lasciare spazio ai festeggiamenti. Il maremoto dell'Oceano Indiano e della placca indo-asiatica del 26 dicembre 2004 è stato uno dei più catastrofici disastri naturali dell'epoca moderna e ha causato centinaia di migliaia di morti. A stupire in modo ancora oggi indelebile fu la rapidità con la quale un’area immensa del nostro pianeta venne messa in ginocchio. L’evento ha riguardato l'intero sud-est dell'Asia, giungendo a lambire addirittura le coste dell'Africa orientale. Nello specifico, i maremoti hanno colpito e devastato parti delle regioni costiere dell'Indonesia, dello Sri Lanka, dell'India, della Thailandia, della Birmania, del Bangladesh e delle Maldive, giungendo a colpire le coste della Somalia e del Kenya (ad oltre 4.500 km dall'epicentro del sisma). L'evento ha avuto inizio alle ore 07:58:53 locali, quai le due di notte in Italia del giorno di Santo Stefano quando un violentissimo terremoto, con una magnitudo di 9,1, ha colpito l'Oceano Indiano al largo della costa nord-occidentale di Sumatra in Indonesia. Il sisma è durato 8 minuti. Tale terremoto è risultato in effetti il terzo più violento degli ultimi sessant'anni, dopo il sisma che colpì Valdivia, in Cile, il 22 maggio 1960 e quello dell'Alaska del 1964, rispettivamente con magnitudo 9,5 e 9,2, ma che per la scarsa densità abitativa di entrambi i luoghi, hanno totalizzato assieme poco più di tremila vittime, un numero alto, ma imparagonabilmente minore rispetto al dramma asiatico. Il terremoto ha scatenato nel 2004 delle grandi onde anomale che hanno colpito sotto forma di immensi maremoti (con un impressionante picco massimo di 51 metri, registrato a Lhoknga, in Indonesia) le coste dell'oceano Indiano, ma sono anche state registrate lievi fluttuazioni di livello nell'oceano Pacifico. Il numero totale di vittime accertate causate da questa serie di cataclismi è di circa 226.000 esseri umani, ma decine di migliaia di persone sono state date per disperse, mentre fra i tre ed i cinque milioni furono gli sfollati. A fronte di stime iniziali molto più conservative, il responsabile delle operazioni di soccorso dell'Unione europea, Guido Bertolaso, aveva fin dalle prime ore affermato che i morti avrebbero potuto essere alla fine ben più di 100.000, mentre in seguito sono circolate stime che pongono tra i 150.000 ed i 400.000 il numero dei morti per conseguenza diretta del terremoto e del conseguente maremoto soltanto in Indonesia. Dato ancor più devastante, secondo le organizzazioni umanitarie, circa un terzo delle vittime potrebbe essere costituito da bambini, specie in considerazione del fatto che fra le popolazioni delle regioni interessate dalla sciagura vi è un'alta proporzione di minori che hanno potuto opporre una minore resistenza alla forza straripante delle acque. Oltre alle popolazioni residenti, vi sono state tra le vittime molti turisti stranieri che si trovavano in quelle zone nel pieno delle vacanze di Natale, che nell’emisfero australe è periodo di alta stagione. Ad esempio, è notevole il fatto che questo singolo evento abbia causato quasi lo stesso numero di vittime di nazionalità svedese (543, delle quali 542 nella sola località thailandese di Khao Lak) di quante non ne avesse causate l'intera Seconda guerra mondiale (circa 600); la causa è da ricercare ovviamente nel fatto che la Thailandia è ormai la meta tradizionale del turismo invernale svedese soprattutto della terza età. Nel 2004 strumenti che oggi diamo per sContati come app di messaggistica online e social media erano ancora avveniristici: il mancato avvertimento dell'imminente arrivo dell'onda mortale, soprattutto in India e Sri Lanka, ha provocato in queste regioni 55.000 morti. alcuni storici hanno ipotizzato che questo potrebbe essere il più costoso maremoto in termini di vite umane a memoria d'uomo. La storia non si fa col senno di poi, ma se le popolazioni costiere fossero state avvertite da messaggi televisivi, o tramite i cellulari, o da veicoli muniti di altoparlanti, sarebbe bastato uno spostamento di cinquecento metri verso l'interno, o su alture vicine, per non cadere vittime del maremoto, una distanza ridicola se pensiamo che avrebbe tracciato il confine tra la vita e la morte. Il fattore del tempo è quello ...
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  • Piazza Fontana: il buco nero della Storia italiana | Gli Occhi della Storia
    Dec 12 2022
    A cura di Daniele Biacchessi 12 dicembre 1969. Una bomba ad alto potenziale viene collocata nel centro del salone della Banca Nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana a Milano dove i cosiddetti fittavoli contrattano i loro affari. 17 morti e 88 feriti. E' la strage che inaugura una lunga stagione di attentati di chiara marca fascista che va sotto il nome di “strategia della tensione” che insanguina il nostro Paese da Piazza Fontana alla stazione di Bologna. È il profondo buco nero della Storia italiana. Il 1969 è l’anno degli scioperi, dei cortei di operai e studenti in tutto il paese. Torino, Milano, Genova, il triangolo industriale. È l’anno delle bombe. Dal 3 gennaio al 12 dicembre se ne conteranno 145, una ogni tre giorni. Per 96 la responsabilità accertata è dell’estrema destra. Il 15 aprile ne scoppia una nell’ufficio del Rettore dell’Università di Padova. Il 9 aprile a Battipaglia vengono uccisi 2 lavoratori e 119 persone sono arrestati. Il giorno dopo ci saranno manifestazioni in tutta Italia, accompagnate da violenti scontri con la polizia. Il commissariato di Battipaglia viene dato alle fiamme. Il 25 aprile, alla Fiera di Milano, un ordigno provoca il ferimento di venti persone. In agosto vengono piazzati dieci ordigni sui treni:otto esplodono e colpiscono dodici passeggeri. A Pisa, il 27 ottobre, durante una manifestazione contro i colonnelli greci, uno studente rimane ucciso da un candelotto lacrimogeno lanciato dalla polizia. Il 19 novembre, a Milano, nel corso di una manifestazione per la casa muore il poliziotto Antonio Annaruma. Siamo in un clima incandescente sul piano politico. Si è appena insediato il secondo governo a guida Mariano Rumor. Il suo vice è Paolo Emilio Taviani. Ministro degli Esteri Aldo Moro,agli Interni Franco Restivo. Un monocolore Dc. Capo del Sid è l’ammiraglio Eugenio Henke. Al vertice della polizia c’è Angelo Vicari. Presidente della Repubblica è Giuseppe Saragat. Nel 1969, lo stipendio di un operaio specializzato era di 110mila lire al mese. L’affitto medio di un appartamento a Milano e Roma ammontava a 35 mila lire al mese. La Fiat 500 lusso costava 525 mila lire. Una tazza di caffè al bar costava 50 lire. Un litro di benzina 75 lire. 12 dicembre 1969, mancano tredici giorni a Natale. È quasi sera ma Milano è illuminata a giorno. I grandi magazzini sono sfavillanti. Le compere e gli acquisti. Le luminarie addobbano il centro che sembra un carnevale. Migliaia di persone stipate in pochi metri tra corso Vittorio Emanuele, piazza Duomo e piazza San Babila vanno su e giù, osservano le vetrine. Ci sono gli zampognari e i venditori di caldarroste. Ai bar del Barba e Haiti servono espressi in continuazione. La gente transita nei pressi del Teatro alla Scala. Quella sera rappresentano Il barbiere di Siviglia. C’è ressa davanti al Rivoli per Un uomo da marciapiede e all’Excelsior per Nell’anno del Signore. Il freddo entra nelle ossa, con il bavero alzato e i guanti presi da Crippa, quel morbido pullover di cachemire comprato da Schettini e quella cravatta acquistata poco prima da Avolio. Magari un cappello, un Barbisio, un Borsalino. I giovani stanno tutti in Galleria Passerella da Fiorucci per gli ultimi arrivi alla moda. Tutti noi italiani ci sentiamo felici, immortali, allegri, innocenti. A un tratto un forte e dirompente boato rompe quella strana ubriacatura invernale. Giunge dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana. Sette chilogrammi d’esplosivo vengono compressi in una cassetta metallica, poi inseriti dentro una valigetta nera, tipo ventiquattro ore. E’ collocata proprio al centro del salone dove gli agricoltori contrattano i loro affari. La gelignite è attivata da un timer. 12 dicembre 1969, piazza Fontana, il giorno dell’innocenza perduta. Diciassette morti, ottantotto feriti. Alle 16.37 siamo già vecchi. Fortunato Zinni lavorava alla Banca Nazionale dell'Agricoltura. Lo conosco da tanto tempo. Ai tempi dell'attentato era un dirigente sindacale, poi negli anni amato sindaco di Bresso. Fu lui il primo testimone della strage dall'interno della banca. L'obiettivo della Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano non è casuale come mi ricordava alcuni fa Francesca Dendena, figlia di Pietro Dendena, nei giorni in cui cercava la verità sulla morte di suo padre. Il paese è attonito, martoriato. Nessuno crede a quelle immagini che la televisione trasmette. Frammenti di guerra, scene che sembrano venire da lontano, da un altro paese. Cosa contengono i minuti dopo una strage? Esistono silenzi che spesso sono fin troppo densi di rumori che si annullano a vicenda. Silenzi, attimi, tempo che sembra non passare mai. Frasi, azioni, gesti, sguardi, la vita degli agricoltori di Piazza Fontana si è fermata, ibernata. Statue di sangue e dolore che non hanno più un’anima, impietrite ti guardano come per chiedere un aiuto, come vite sospese che non sono più carne e parole. Quelle statue che paiono di ...
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  • La Giornata Mondiale Contro l’AIDS | Gli Occhi della Storia
    Dec 1 2022
    A cura di Francesco Massardo Il 1 dicembre di ogni anno si ricorda la Giornata Mondiale Contro l’AIDS, un appuntamento fondamentale per la medicina e per l’intera società. Il motivo è semplice: anche se negli ultimi anni l’attenzione è stata rivolta soprattutto alla pandemia da COVID-19, la diffusione del virus dell’HIV è ancora preoccupante e non deve essere trascurato. L’obiettivo fondamentale di questa giornata mondiale, istituita per la prima volta nel 1988, è la continua sensibilizzazione nei confronti di un’epidemia che ha raggiunto il proprio picco nel 2004, ma che ancora nel 2019 contava ben 690.000 vittime per malattie opportunistiche legate all’AIDS nel mondo. Numeri senz’altro in miglioramento, anche questo è un dato, e che lasciano sperare ma che non possono ancora rappresentare la sconfitta definitiva del virus. Certamente anche l’informazione deve fare la sua parte: ormai assuefatti da mesi di bollettini pandemici, non possiamo dimenticare il triste primato degli 1,1 milioni di decessi registrati nel 2010, l’annus horribilis del virus HIV. Sebbene la diffusione dei farmaci abbia raggiunto altissimi livelli qualitativi, quasi inimmaginabili solo fino a pochi anni fa – e lo stesso si possa dire per la prevenzione – c’è sempre bisogno di mantenere alto il livello di attenzione. La Giornata Mondiale contro l’AIDS serve in fondo proprio a questo: mantenere elevata l’attenzione – tra i più giovani ma non solo – e puntare lo sguardo verso i problemi che riguardano la diffusione del virus nei paesi del Terzo Mondo, dove l’accesso alle cure è ancora troppo difficile. Ma come e quando nasce la Giornata Mondiale Contro l’AIDS? Questo appuntamento è stato istituito come detto nel 1988 e, come chiarisce il sito ufficiale, è stata la prima giornata mondiale dedicata alla salute ad essere stabilita a livello globale. Il suo scopo è quello di unire le persone e mobilitarle per combattere l’HIV in modi differenti. In che modo? Condividendo innanzitutto i principi della prevenzione, le storie di persone che oggi convivono con questa condizione, le opere per ricordare coloro che sono morti per malattie correlate. Il simbolo della Giornata Mondiale Contro l’AIDS è il fiocco rosso incrociato che nasce nel 1991 da un singolo nastro, sinonimo in linea generale della lotta contro l’HIV. Questa giornata deve ricordare a tutti che questa epidemia, anche se ha rallentato notevolmente la propria diffusione ed è più facile da contenere rispetto al passato, è ancora mortale, o comunque impone numeri difficili da gestire per la sanità mondiale. Ecco qualche esempio: 26 milioni di persone al mondo accedono alla terapia antiretrovirale Fino al 2019 circa 38 milioni di individui nel mondo convivevano con una diagnosi di positività al virus dell’HIV. Soltanto nel 2019 sono state diagnosticate 1,7 milioni di nuove infezioni da HIV. Dall’inizio dell’epidemia al 2019, circa 75,7 milioni hanno contratto l’AIDS. Infine un ultimo dato, il più difficile da commentare: dal 1981 (anno in cui per la prima volta venne identificata la nuova patologia), 33 milioni di persone sono morte per malattie opportunistiche legate all’AIDS. Anche per questi dati è giusto portare all’attenzione di tutti l’obbligo di seguire le giuste precauzioni. Altro tema fondamentale è l’importanza di ricordare la presenza quasi endemica del virus nei paesi socio economicamente meno sviluppati. L’Africa è oggi il continente più colpito al mondo da questa epidemia: circa il 60% di tutti i soggetti colpiti dalla malattia vive nel continente a fronte del 12% di popolazione mondiale. La difficile condizione economica presente in molti Stati, unita alla diffidenza culturale presente in molti villaggi rurali riguardo i metodi di protezione dalla malattia (come l’utilizzo del profilattico), porta ancora oggi moltissime persone ad infettarsi e a trasmettere la malattia ai propri figli al momento del parto. L’alta circolazione del virus unito alla diffidenza per l’uso del profilattico ed alle scarse risorse economiche della popolazione (che, di fatto, ha difficoltà a potersi permettere le cure antiretrovirali oggi disponibili) rende il tasso di mortalità per AIDS in Africa il più alto del mondo. La Giornata Mondiale Contro l’AIDS ricorda al pubblico e alle istituzioni che l’HIV non è scomparso. Quindi c’è ancora bisogno di raccogliere fondi, aumentare la consapevolezza e l’attenzione. Non a caso in Italia affrontiamo un problema legato proprio a questo: “Per circa il 35% delle nuove diagnosi di sieropositività all’HIV il successo delle terapie è fortemente compromesso dal ritardo con cui le persone decidono di sottoporsi al test. Sono dati che dimostrano quanto sia ancora impegnativa la battaglia contro il virus dell’HIV, per quanto la ricerca clinica stia andando avanti”. Senza dimenticare che un altro motivo che porta a considerare importante la Giornata ...
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  • L'uomo giusto nel posto sbagliato: Assassinio di JFK | Gli Occhi della Storia
    Nov 22 2022
    Questa è la storia di due storie. Quella di un uomo diventato presidente fin dal giorno in cui era nato e quella dell’attentato progettato da menti tanto vigliacche da nascondersi dietro al caos, senza uscire mai allo scoperto, anche se pur non essendo ufficiale, un’idea di chi ha cospirato se la sono fatta in tanti. La lista dei presidenti americani assassinati parte da Abraham Lincoln, ucciso il 14 aprile 1865 dall’attore e simpatizzante dei Confederati John Wilkes Booth, James Garfield, ucciso il 2 luglio 1881 a Washington, a soli 4 mesi dal giuramento. William McKinley assassinato nel 1901 dall’anarchico Leon Czolgosz. Altri tempi che in realtà non se ne erano mai andati. Un popolo abituato alla violenza, alle armi che per i successivi 60 anni sembrava essere andato più lontano dall’epoca del far west, invece sparava ancora, solo che affidava ad altri il compito di uccidere. Partiamo da una canzone tributo del 1971 dedicata alla figura di JFK, capace di commuovere il fratello Ted, determinato a volerla nella John F Kennedy Library in modo che altri potessero godersi la canzone alla memoria Il mito di John Fitzgerald Kennedy parte molto presto, grazie all’ambizione di una famiglia da sempre impegnata e protagonista della scena politica. John nasce a Brooklin, nel Massachusetts, il 29 maggio 1917. Partecipa alla Seconda guerra mondiale come volontario in marina e dopo essere stato ferito alla schiena, torna a Boston per avviarsi alla carriera politica. Milita nel Partito Democratico come deputato e, in seguito, come senatore. La sua ascesa è già inarrestabile grazie alle scelte giuste che fa anche nella vita privata. Il 12 settembre 1953 infatti sposa Jacqueline Lee Bouvier, detta Jackie, giornalista del Washington Times-Herald che era stata Incaricata dal suo giornale di realizzare una serie di inchieste fotografiche da realizzare intervistando personaggi famosi, tra questi ovviamente il futuro presidente americano. Lui ha 34 anni e lei 10 di meno, il matrimonio è da sogno e lo resterà, al netto delle voci di tradimento di John sussurrate nei corridoi e rilanciate su tutti i magazine. Tornando alla politica il 2 gennaio 1960, annuncia la sua decisione di concorrere alle elezioni presidenziali, scegliendo come suo vicepresidente Lindon Johnson e nel discorso di accettazione della candidatura enuncia la dottrina della "Nuova Frontiera". C’è tanto idealismo nella Nuova Frontiera, la quale identifica una visione che intende migliorare il sistema educativo e quello sanitario, tutelare gli anziani e i più deboli. Il ruolo del fratello Bob è determinante. È lui che ispira la sua dottrina, è lui che lavora ai suoi discorsi, è lui che determina la linea di condotta da tenere nella corsa alla presidenza. Così come è lui a concordare con John la politica estera, indicando l’intervento economico in favore dei Paesi sottosviluppati. Il suo messaggio ha una forza implicita come descrive Furio Colombo, storico inviato Rai. Kennedy per poter coronare il progetto presidenziale doveva confrontarsi con il candidato repubblicano Richard Nixon. I due danno vita al primo dibattito presidenziale mai trasmesso alla televisione. La vicenda mostra da una parte l’incredibile potenziale comunicativo di John e una certa inadeguatezza di Nixon. Il primo è preciso e risoluto, il secondo a disagio e addirittura disordinato. La telegenia di Kennedy, unita alla dimensione del sogno e dell’inclusione, la visione di un mondo diverso, specie a soli 15 anni dalla Seconda guerra mondiale, con disuguaglianze ed ingiustizie, come quelle che i bianchi perpetravano disinvoltamente verso i neri, rendeva in quel momento storico la figura del giovane John come irresistibile. L’uomo giusto al posto giusto. Come da pronostico infatti a novembre vince le elezioni, si insedia e annuncia la decisione di stabilire una "Alleanza per il progresso" con i Paesi latino-americani. Alla fine di maggio parte per un viaggio in Europa che diventa un ulteriore manifesto della sua capacità seduttiva. Incontra De Gaulle a Parigi, Krusciov a Vienna e Mac Millan a Londra. Il fascino che esercita negli Stati Uniti riesce a dirigerlo anche in Europa ed è qui che nel 1963 pronuncerà una frase rimasta nel tempo e riutilizzata modificandola ancora oggi a seconda del contesto. In questo periodo storico l’opinione pubblica internazionale guarda con apprensione agli equilibri precari tra le due superpotenze Stati Uniti e Russia. Kennedy vorrebbe mantenere un'intesa mondiale basata sulla supremazia delle due nazioni più potenti, le quali si fronteggiano anche nel predominio dello spazio, al punto da dare il via a missioni estremamente pericolose per conquistare la luna, già dal 1959. Nel 1962, in questo clima di tensione, due aerei U-2 americani, sorvolano Cuba scattando foto che mostrano quattro piattaforme per alcune basi missilistiche a media gittata, modelli di missili da un megaton, che possiedono una potenza distruttiva ...
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  • La Strage di Bataclan | Gli Occhi della Storia
    Nov 13 2022
    A cura di Daniele Biacchessi Questa è una storia dolorosa e commovente. È la storia di una ragazza di 28 anni, andata via dall'Italia, arrivata a Parigi per studiare e poi uccisa il 13 novembre 2015 durante l'attacco terroristico nel tempio del rock, il Bataclan. Questa è la storia di Valeria Solesin, studentessa, colpita a morte mentre ascoltava musica insieme ad altre 130 persone. 350 feriti. È il 2015. Valeria Solesin, sta svolgendo un dottorato in demografia all'Idem (l'istituto di Demografia), dell'Università della Sorbona Parigi 1. Ha 28 anni, viene da Venezia. È in Francia dal 2011. Un volto solare, sempre attenta ai più deboli, ai bisognosi. Fa volontariato attivo con Emergency. Viene già definita dagli amici come "uno dei cervelli in fuga dall'Italia". Dopo aver conseguito la laurea a Trento con una tesi sulle madri lavoratrici, si trasferisce a Parigi per il dottorato in demografia. Nell'ateneo francese si occupa di temi legati alla famiglia e ai bambini, oltre alla comparazione sociologica tra sistema francese e italiano. Il 13 novembre 2015 si trova al Bataclan dove è in cartellone il concerto dei Eagles of Death Metal. Si trova lì con il fidanzato, Andrea Ravagnani, la sorella di questi, Chiara, entrambi trentini, e il fidanzato di quest'ultima, il veronese Stefano Peretti. Deve essere una serata di divertimento e passione, ma non andrà così. Dall'inizio del 2015 la Francia viene colpita da numerosi attentati terroristici di matrice islamica, compiuti da affiliati o sostenitori di Al-Qaida e dello Stato Islamico. Tra il 7 e il 9 gennaio vengono attaccati gli uffici del giornale satirico Charlie Hebdo, a Parigi, e il supermercato kosher Hyper Cacher, a Porte de Vincennes. Negli assalti, compiuti dai fratelli Kouachi e da Amedy Coulibaly, rimangono uccise diciassette persone. Da quel momento inizia una catena di attentati su larga scala. Il 3 febbraio 2015 tre militari vengono accoltellati a Nizza da Moussa Coulibaly, cittadino francese di origine africana. Il 19 aprile una donna, Aurélie Châtelain, viene assassinata dallo studente algerino Sid Ahmed Ahlam, durante attacchi a due chiese di Villejuif, a Parigi, e alla Basilica del Sacro Cuore. Il 26 giugno, a Saint-Quentin-Fallavier, nel sud-ovest del Paese, il trentacinquenne di origini marocchine Yasmin Salhi uccide e decapita il proprio datore di lavoro, poi si fa un selfie con la testa mozzata della vittima ed invia la fotografia a un numero canadese tramite WhatsApp; in seguito, tenta di distruggere una fabbrica di gas con un furgone imbottito di bombole esplosive. Il 13 luglio quattro giovani di età compresa tra i 16 e i 23 anni, tra cui un ex-militare, progettano l'assalto contro l'installazione militare di Fort Béar di Port-Vendres, nei Pirenei Orientali. Il 21 agosto, su un treno ad alta velocità proveniente da Amsterdam e diretto a Parigi, tre militari americani in borghese ed un cittadino britannico, tutti in vacanza, bloccano un terrorista, il ventiseienne Ayoub El Khazzani, mentre sta per aprire il fuoco con un kalashnikov. Nel tentativo di immobilizzarlo, tre persone rimangono ferite. Infine, il 29 ottobre viene scongiurato un altro attentato contro alcuni soldati della Marina Francese a Tolone, nel dipartimento di Var. Questo è il clima che precede l'attacco contro la discoteca Bataclan a Parigi È una lunga notte quella che inizia alle 21,20 del 13 novembre 2015. La prima esplosione avviene davanti al ristorante Events nei pressi dell'ingresso D dello Stade de France, in zona Saint-Denis, venti minuti dopo l'inizio della partita amichevole fra le nazionali di calcio di Francia e Germania. Per non aggravare la tensione, la partita prosegue; a causa dell'esplosione vi fu un morto, Manuel Dias, più l'attentatore, identificato col nome di battaglia di Ukashah Al-Iraqi. Cinque minuti dopo, alle 21,25, la scena si sposta nei pressi dei due ristoranti Le Carillon, su Rue Alibert e Le Petit Cambodge, su Rue Bichat. Quattro terroristi a bordo di una SEAT León nera, sparano all'incrocio con i loro AK-47 esplodendo circa 100 proiettili, inneggiando alla Siria e all'Iraq e urlando in lingua araba: "Allahu Akbar!" (13 morti e 10 feriti gravi). Alle 21,30 c'è la seconda esplosione davanti a un fast food Quick nei pressi dell'ingresso H dello Stade de France, in zona Saint-Denis. Muore l'attentatore. Due minuti dopo avviene la seconda sparatoria nei pressi del Café Bonne Bière e della pizzeria Casa Nostra, in Rue de la Fontaine au Roi. 5 morti, 8 feriti. La terza sparatoria è delle 21,36 sparatoria davanti al ristorante La Belle Équipe, nei pressi di rue de Charonne, nell'XI arrondissement (21 morti e 9 feriti). Il Bataclan di Parigi è il luogo simbolo dei concerti rock. Quella sera suonano gli eagles of Death Metal. Lo spettacolo è iniziato alle 20,45 e nella sala ci sono 1500 spettatori. Tutto avviene in soli otto minuti. Un commando assalta il Bataclan da più punti con zaini porta-caricatori, AK-47, di un ...
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    17 mins